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Borre di Strigiformi e ricerca teriologica

Dopo aver presentato gli Strigiformi della provincia di Vicenza, approfondiamo un aspetto poco conosciuto e poco studiato, ma di fondamentale importanza per la ricerca teriologica: l’analisi delle borre dei rapaci notturni.


Cosa sono le borre? Le borre sono letteralmente le parti indigerite delle prede espulse dagli animali (uccelli ma anche certi mammiferi: basti pensare alle borre di pelo “vomitate” dai gatti!).

Come si formano le borre dei rapaci notturni? Solitamente gli Strigiformi mangiano le proprie prede intere: assieme alla parte digeribile (carne e grasso), quindi, ingurgitano anche grandi quantitativi di ossa, peli, penne e parti chitinose. La digestione di queste parti è molto lunga e difficile, perciò quello che non viene sciolto e digerito dagli acidissimi succhi gastrici dei rapaci notturni viene espulso sotto forma di ammassi ellissoidali o cilindrici, chiamati borre.


Analizzando questi resti indigeriti è quindi possibile capire cos’ha mangiato il rapace che ha prodotto la borra, dato che questa contiene molto spesso anche ossa e crani ben riconoscibili a occhio nudo o allo stereoscopio. Solitamente, infatti, la preda non viene spezzettata, a meno che non sia molto grande (al massimo possono venire spiumati gli uccelli). Specie di dimensioni medio-grandi, come il gufo comune o l’allocco, riescono tranquillamente a ingoiare mammiferi interi della taglia di un ratto. Non è raro trovare crani di ratto completi nelle loro borre (un cranio di ratto può arrivare a misurare 5 centimetri).


Le specie di piccole dimensioni, come la civetta, predano raramente mammiferi e quando lo fanno si concentrano soprattutto su topi selvatici, topolini delle case e crocidure. Quando le dimensioni del predatore sono piccole gli diventa d’obbligo “preparare il pasto” sbattendolo ripetutamente prima di ingerirlo e dividendolo in pezzi più piccoli: i resti ossei nelle borre risulteranno in questo caso molto più danneggiati e frammentati.


Come anticipato, dall’esame dei resti contenuti nelle borre è possibile riconoscere gli animali predati dal rapace. Questo permette da un lato di determinare lo “spettro trofico” della specie e dall’altro raccogliere dati sulla presenza di determinate prede nell’areale di caccia del predatore stesso. In passato per analizzare la dieta degli Strigiformi venivano uccisi svariati esemplari e veniva analizzato il contenuto dello stomaco. Questo metodo, oltre a essere cruento, non permetteva di avere uno studio accurato sulla teriofauna presente in un determinato territorio; l’analisi delle borre, invece, se portata avanti per un periodo di tempo abbastanza lungo può darne un quadro abbastanza esaustivo.


L’analisi dei resti di micromammiferi viene eseguita comparando la forma dei denti delle prede con alcune chiavi dicotomiche (principalmente basate sull’osservazione dei denti) o con una collezione di confronto precedentemente preparata. La classificazione a livello di genere risulta abbastanza facile per un occhio allenato, ma con un po’ di esperienza si possono distinguere anche le diverse specie.


Il principale difetto di questo metodo di analisi è dato dalla selettività del predatore stesso. Alcuni Strigiformi, come il gufo comune, sono stenofagi, si nutrono cioè di solamente poche specie solitamente legate a un ambiente di caccia “aperto”; di conseguenza la maggior parte delle loro prede sarà rappresentata da arvicole, micromammiferi da ambienti “aperti” per eccellenza.

Altri, come l’allocco, sono eurifagi, ossia si nutrono di una gran quantità di specie. L’allocco, inoltre, è anche “arboricolo”, ossia si nutre delle specie che vivono sugli alberi. La sua dieta sarà quindi molto più varia di quella di un gufo comune e comprenderà specie che vanno dal ghiro al moscardino, dalla lepre alla donnola, dal ratto all’arvicola, senza sdegnare uccelli, serpenti, lucertole, rane, insetti e lumache.


Per dare una disposizione spaziale a quanto rinvenuto nelle borre bisogna anche tenere presente l’home range delle varie specie. L’allocco caccia prevalentemente in bosco e il suo areale è abbastanza piccolo, non superando i 20 ettari. Il gufo comune, con la sua dieta molto più specializzata, predilige territori più vasti e il suo territorio può superare tranquillamente i 900 ettari.


Importante: lo studio delle borre è un lavoro lungo e complesso, che richiede esperienza e competenze. Per concludere una ricerca sono necessari anni continuativi di raccolta borre, catalogate almeno per stagioni. Invitiamo dunque a non improvvisarvi nella raccolta delle borre e, in caso voleste provare ad analizzarle, di sincerarvi che nessuno le stia già raccogliendo in quel sito. Per qualche borra raccolta si rischia di mandare in fumo anni di ricerca.

Nelle foto seguenti si possono vedere le borre di gufo comune, allocco e barbagianni; le principali prede che si possono rinvenire nelle borre e una fase dello studio e della classificazione del contenuto delle borre.


Testo e foto di Marco Vicariotto e Jessica Peruzzo




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